La storia di questo formaggio affonda in zone poco distanti da Milano. Con esattezza nell'Abbazia di Chiaravalle dove monaci già impegnati nella produzione di cibo di qualità iniziarono a sperimentare nuove ricette che portarono alla produzione di un formaggio a pasta dura derivante da tempi di cottura lunghi del latte, aggiunta di caglio ed infine sottoposto a salatura. È interessante notare che i primi caseifici furono di fatto le caldaie dei monasteri, luoghi nei quali monaci e un numero sempre maggiore di specialisti caseari lavorarono per ottimizzare il nuovo nato. Il prodotto ottenuto venne chiamato caseus vetus, formaggio vecchio, proprio per sottolinearne la diversità dai formaggi noti allora che, freschi, andavano consumati in breve tempo. Ben presto il grana venne riconosciuto come un formaggio pregiato e la diffusione nelle corti dei nobili estese la sua produzione, andando quindi a rendere necessaria la localizzazione della zona di lavorazione: esisteva un grana "lodigiano", uno "milanese", uno "piacentino" e uno "mantovano". La sua inalterabilità nel tempo, la sua forma, la sua bontà ne fecero un alimento diffusissimo e apprezzato da ogni ceto sociale. Divenne quindi manifesto di una cultura e di una popolazione e questo rese impermeabile a modifiche o cambiamenti tanto il metodo di produzione e di conservazione, rimasti pressoché inalterati sin dalle origini e tramandati attraverso generazioni e secoli.

In tempi più recenti la fama di questo formaggio non variò e anzi si rafforzò grazie alla sua ancora maggiore diffusione. Nacque dunque l’esigenza di definirne e tutelarne le caratteristiche specifiche; a Stresa venne siglata una convenzione nel 1951 che vide la nascita delle due denominazioni oggi conosciute e cioè "grana padano" e "parmigiano reggiano". Le due tipologie di caseus vetus si distinguono per le caratteristiche produttive disciplinate dal consorzio di riferimento.